FOTO-VISIONI

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FOTO-VISIONI

FOTO-VISIONI Una mostra di Mario Bocci e Stefano Corsini

Il 𝐆𝐫𝐮𝐩𝐩𝐨 𝐅𝐨𝐭𝐨𝐠𝐫𝐚𝐟𝐢𝐜𝐨 𝐕𝐞𝐫𝐬𝐢𝐥𝐢𝐞𝐬𝐞 organizza nelle sale museali di Villa Paolina a Viareggio,

una mostra dedicata a due autori di due diverse generazioni, ma accomunati da una fotografia fortemente creativa: “Foto-visioni”.

𝗠𝗮𝗿𝗶𝗼 𝗕𝗼𝗰𝗰𝗶: classe 1926 ha esplorato la metafisica con una vasta serie di fotomontaggi in analogico realizzati fra gli anni ‘70 e ’90.
𝗦𝘁𝗲𝗳𝗮𝗻𝗼 𝗖𝗼𝗿𝘀𝗶𝗻𝗶: classe 1974 ha realizzato fra il 2011 e il 2023 una serie di immagini surrealiste che rientrano in quella che oggi viene chiamata staged photography.

Due percorsi creativi, il tramandarsi di generazione in generazione, un bagaglio fotografico che vive e cresce nella nostra associazione.

Mario Bocci secondo Giorgio Tani

Non sono poi molto lontani gli anni di quel bianconero trascendentale che sapeva esprimere tutta l’arte dello stampatore, che è poi l’arte di essere solitari e compresi nel contatto visivo con l’immagine nascente. L’autore è essenzialmente qui, in questo amplesso emozionante che da luogo ad una nascita. Ogni fotografia di Bocci è una paternità, una gestazione di idee, di fantasie, una crescita compositiva che nel procedimento creativo si autodefinisce nel proprio significato.

Collage, o se preferiamo “fotomontaggio”: il suo fascino sta proprio in questo essere non legato a nessuna oggettività realistica e di far propri i canoni misteriosi della metafisica e del surreale quale intima espressione di se. L’enigma, nelle opere di Bocci, si apre lentamente attraverso la comprensione della sua simbologia. E’ interessante proprio quest’aspetto di assemblaggio dei segni formali, degli oggetti e delle figure, che si compongono nel contesto più vasto dell’immagine unica e la determinano nel messaggio voluto. Gli ingredienti che Bocci ha fotografato, marmi, case, vie, volti, pietre non esistono più nella loro autonomia ma sono parole essenziali di un discorso diverso, tanto irreale quanto soggettivamente comprensibile nella lettura che ciascuno ne fa. E’ come provare la sensazione del coinvolgimento in una dimensione misterica, in una realtà alternativa, che si rivela attraverso l’accostamento dei segni: la clessidra, ad esempio, che simbolizza il tempo; i due bambini che simbolizzano la fanciullezza, danno il senso del tutto che è “il trascorrere inarrestabile del tempo e la misura della vita”. Il tempo che come dimensione comprende e immobilizza tutto è una costante delle opere di Bocci: “la cattedrale e il grosso polipo”, “la vuota maternità”, “le armature e il volto bendato”, “il cavallo di pietra”, e così via.
In opere di questo genere il titolo effettivo, dato dall’autore, non ha alcuna importanza, anzi può risultare fuorviante di fronte alla suggestione indotta dai contenuti. Ormai è un assioma che le opere artistiche si capiscono per ciò che siamo.
Negli anni 80 Mario Bocci si affermò nei concorsi Fiaf, ottenendo numerosissimi riconoscimenti. Il foto-collage realizzato in camera oscura ebbe un momento favorevole perché praticato anche da altri autori di notevole impatto emotivo. Ambrogio Negri ad esempio, che da allora ad ora, ha creato opere egregie di tenore socio-contemplativo. E includerei anche Giorgio Rigon con le sue composizioni frammentate e armoniche. Autori diversi nelle proposte visive, ma sicuramente maestri di questa particolare forma espressiva.
Rispetto a loro, la diversità concettuale di Bocci, ovvero lo spazio del suo io artistico, appare come pervaso da una angoscia che trasfigura la realtà. Le sue composizioni la tramutano in segni instabili, né oggettivi né soggettivi, quasi astrali, come sensazioni lontane che si trasformano poi in componenti di un immaginario personale

Stefano Corsini

La poetica del sogno di Isabella Tholozan

La figura del “buon maestro” è fondamentale in qualsiasi ambiente educativo e culturale. Il buon maestro, per Stefano Corsini, è stato Mario Bocci che lo ha “ispirato”, come dice l’autore, “e guidato grazie anche alle fotografie che portava al circolo perché noi novellini le conoscessimo”. Il desiderio di creatività ha fatto si che Stefano Corsini mettesse in atto un genere di fotografia che si ritiene contemporaneo ma che, invece, ha avuto in epoche analogiche tanti adepti anche famosi, come appunto il versiliese Mario Bocci.

Fotomontaggio metafisico surreale, veniva definito, sostituito dalla più contemporanea Staged Photography (fotografia allestita), pratica diffusa nel mondo artistico del linguaggio visivo contemporaneo che vede nomi noti in ambito internazionale come Sandy Skoglund o Gregory Crewdson.

Superando senza riserve l’ormai irrisolta domanda sul dualismo della fotografia tra realtà e finzione, accogliendo quest’ultima come ulteriore possibilità espressiva che ha come scopo il rappresentare una realtà interna all’autore e non esterna, c’è da dire che i fotografi che si avvalgono di questo genere narrativo sono a loro volta registi, scenografi, costumisti, truccatori e a volte anche interpreti delle loro immagini.

Stefano Corsini parte dalla progettazione a bozzetto, per seguire con la costruzione della scenografia e dei fondali, spesso autoprodotti, così come alcuni degli oggetti e costumi che entreranno nella scena. La parte finale è destinata alla tecnologia di post-produzione.

La poetica? Quella, inequivocabile, che riesce a dare forma a qualcosa che esula la realtà ma appartiene al mondo, tutto personale, dei ricordi, dei sogni, di un mondo fantastico figlio di quell’infanzia che ci ha formato e che non ci abbandonerà mai.

Dare spazio al proprio inconscio, anche quello più inquietante, sembra essere lo scopo principale per Stefano Corsini, la creatività è sublimata in questi “tableau vivant” decisamente distanti da ogni ipotesi di realtà; la bellezza, concedetemi un aggettivo poco adatto alla fotografia, sta proprio nell’immergersi in queste immagini che sicuramente accomunano ognuno di noi, vicine, come riescono ad essere, alla materia di cui sono fatti i sogni.